Esempi per il welfare aziendale oltre la pandemia
In un settore solcato da profonde differenze dove il lavoro, soprattutto migrante, è concentrato in condizioni di scarse tutele e infrastrutture sociali carenti, riflettere sugli orizzonti futuri anche attraverso significative esperienze di imprese consente di allargare il dibattito e la diffusione di buone pratiche.
Migrazioni e lavoro
Poco sopra ho utilizzato il termine generico migrante non senza alcune remore. "Migranti" sono infatti coloro che si spostano in cerca di nuovi posti in cui vivere: situazione precaria perenne che racchiude le condizioni di chi sfugge.
L’utilizzo ostinato del termine non fa che associare agli individui l’etichetta di “passeggeri”, uomini e donne che il tempo ha deciso di spazzare via dalla loro casa come moderni Ulisse, e per i quali qualsiasi posto resta temporaneo. Spesso indesiderati dai “nativi” stanno ai margini e, come nicchie identitarie, sopravvivono nelle e oltre le istituzioni.
La legittimazione istituzionale, con il riconoscimento della cittadinanza, e sociale, con il riconoscimento dei diritti, culmina con la scomparsa della migrazione nella percezione altrui.

In questo lento processo di integrazione un ruolo primario lo assume l’inserimento in processi lavorativi presso le aziende del territorio. Non solo perché contribuisce all’apprendimento degli usi locali, ma anche perché diventa l’occasione di incontro con le istituzioni e gli organismi atti a tutelare i diritti sul lavoro, fondamentali in una situazione di scarso riconoscimento.
Secondo gli ultimi dati elaborati dall’ANPAL, anno 2019, il tasso di occupazione si attesta al 60% con picchi per alcune provenienze (Filippine, Cina, Perù) e forti carenze per altre (Marocco, Ghana, Ucraina). Purtroppo, come dichiarato anche nella nota metodologica, questi dati si riferiscono a stranieri regolari e con contratto di lavoro dichiarato escludendo, quindi, una buona parte di forza lavoro che presta la propria opera senza tutele.
Tuttavia, osservando i dati forniti dall’Ispettorato del Lavoro per lo stesso anno, sul totale di 32mila rapporti di lavoro “nero” solo mille erano extracomunitari privi di permesso di soggiorno, concentrati nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura.
Il problema, insomma, esiste ed è non solo di difficile indagine statistica ma anche giudiziaria e ispettiva. Non solo irregolarità nei rapporti di lavoro, ma l’evoluzione di veri e propri mercati collaterali di illegalità (per brevità non è possibile approfondire il tema).
Vi invito a leggere la ricerca condotta dall’ILO nel 2004 ma ancora attuale, da cui la domanda: l’evoluzione e lo sviluppo di buone pratiche aziendali può favorire l’inserimento in percorsi di inclusione lavorativa e integrazione sul territorio?
Cooperative e reti
Da qualche anno sui vitigni del Monferrato è attiva una cooperativa sociale che promuove il lavoro regolare con l’inserimento di uomini e donne in agricoltura con la vendita di prodotti biologici. Il loro progetto di punta mira al recupero di terre incolte per la produzione del moscato d’Asti ma anche promozione di eventi sul territorio come cene multietniche, laboratori con le scuole e percorsi di formazione.

Dalle colline del vino ci spostiamo nel cuore di Milano, presso Cascina Cuccagna luogo di ibridazione e sperimentazione che favorisce l’incontro e la nascita nuove esperienze. Attraverso un crowdfunding civico si immagina di avviare una falegnameria sociale che permetta di formare giovani stranieri tra i 16 e 21 anni non al chiuso dei laboratori studenteschi ma nell’incontro vivo e pratico con maestri pronti alla relazione e alla guida verso l’autonomia.
Nonostante la battuta d’arresto dovuta all’epidemia, esempi come questi fioriscono in tutta Italia. L’effetto atteso è di modificare la percezione delle comunità sulle “migrazioni” favorendo la scomparsa del termine e delle discriminazioni, manifeste o latenti, perpetuate.
Resta sullo sfondo, tuttavia, la necessità di rendere sostenibili queste iniziative. Come discutevo in altri articoli dedicati al territorio e al welfare aziendale, l’incontro tra aziende, imprese sociali ed enti locali può favorire la costruzione di reti che, imitando i distretti industriali del secolo scorso, promuovono forme di auto muto aiuto orientate all’impatto sociale.
Nascono così reti tra diversi soggetti come AGRIWEL per l’agricoltura o BEATRICE il Welfare sul serio che cercano proprio di rafforzare i legami territoriali e promuovere inclusione anche attraverso la diffusione di pratiche d’acquisto responsabili. Promuovendo prodotti e servizi locali, offerti da enti del terzo settore che lavorano sull’inclusione, si educano i cittadini alla multiculturalità e l’integrazione.
Temi su cui il mercato di welfare aziendale deve ancora interrogarsi a fondo.
Hai trovato questo articolo interessante? Ti suggerisco questo rapporto per approfondire la questione:
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2020), X Rapporto annuale. Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, Anno 2019, Roma